Il Brasile è un colosso, con 8,5 ml di chilometri quadrati e 200 ml di abitanti è il quinto al mondo, ma sembra scontare la maledizione di rimanere a metà, lasciando incompiuta la via dello sviluppo e della definitiva affermazione internazionale, a cui ambisce sopra ogni cosa.
Dal 1994, quando l’allora Ministro dell’Economia Cardoso, poi Presidente, lanciò il “plano real” di strada ne ha fatta proprio tanta; l’anno prima l’inflazione era arrivata al 2.477% e al 700% nei cinque precedenti, la situazione sociale
economica ed infrastrutturale incomparabile ad ora, ma come detto, quando sembra che il Paese stia per assestarsi sulla giusta via, qualcosa s’inceppa.
Ora, dopo gli otto anni della doppia presidenza Lula, con una crescita media di più del 4%, l’economia pare essersi bloccata; dopo tre anni di presidenza Rousseff, quell’incremento s’è più che dimezzato e l’inflazione, che resta il suo peggiore timore, pare ricominciare ad alzar la testa. È il suo Sistema Paese, nel suo insieme, che appare incapace di consolidare lo sviluppo, e assumere una “velocità di crociera” uniforme, come hanno fatto Cina, Corea ed altri Stati che sono “emersi” definitivamente.
Certo, è ormai la settima economia al mondo, ma scricchiola vistosamente senza che la sua classe dirigente sappia individuare il motivo e correre ai ripari. Né le ragioni possono essere addebitate alla crisi: la Turchia, che come il Brasile dipende dai capitali esteri, pur scricchiolando assai di più (ma per motivi molto diversi) ha rallentato di meno, come pure la maggior parte dei suoi vicini sud americani, alcuni dei quali hanno addirittura accelerato (vedi Cile e Colombia). E allora?
Il Brasile basa i suoi investimenti sui capitali esteri che, malgrado lo sbandamento dell’economia, arrivano al ritmo di circa 60 mld di $ all’anno, ma quelli vanno dove ritengono più opportuno; inoltre, i tassi d’interesse reali sono fra i più alti al mondo, le infrastrutture insufficienti e fatiscenti, la qualità della pubblica amministrazione assai mediocre per non dire di peggio e, cosa che fa la differenza, il livello di formazione (e la produttività) della popolazione è distante come la luna da quella delle economie asiatiche.
L’Amministrazione Rousseff ha cercato di reagire inducendo la Banca Centrale ad abbassare il tasso di sconto per facilitare la circolazione monetaria e indurre una svalutazione competitiva del real, ma l’unico risultato che ha ottenuto è stato il risveglio dell’inflazione, senza incidere minimamente sulla competitività, perché al contempo i costi di produzione e salari sono cresciuti assai di più. La produzione industriale ristagna, infatti, dal 2010 e nel 2013 il suo peso sul Pil è arrivato ai minimi dagli anni ’50, mentre il manifatturiero ha registrato un deficit record con l’estero per 54 mld di $.
In poche parole, lo stimolo della domanda s’è tradotto in maggiori importazioni non in maggiore produzione, e chi ne ha soffert...
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